Non era mai stato un forte giocatore, aveva iniziato tardi, a
venticinque anni e da autodidatta non si era minimamente preoccupato di
studiare i principi della strategia e della tattica che animano questo gioco
così complesso.
Si accontentava di muovere un pezzo alla volta senza calcoli di sorta,
incurante della propria mediocrità.
Nonostante tutto era riuscito ad ottenere un brillante
piazzamento alla prima partecipazione di torneo che gli valse la promozione
alla terza nazionale. Erano i primi anni novanta. Corsico, piccolo centro a sud
di Milano aveva assunto, suo malgrado, la fama di capitale degli scacchi, grazie
ad un circolo che organizzava numerosi tornei e corsi di scacchi. Fu proprio da
Corsico che partì la sua avventura, in un caldo week end agli inizi maggio.
Il “Conte”, compagno di tante battaglie calcistiche e scacchistiche,
lo convinse ad iscriversi e lui, vincendo un’iniziale ritrosia decise che
avrebbe partecipato, in fondo non aveva nulla da perdere da questa nuova
esperienza.
Per la prima volta sperimentò sulla propria pelle l’agonismo del
gioco, la lotta contro il tempo decretata da un orologio che incute rispetto
concedendoti di pensare salvo poi presentarti il conto se sei troppo
riflessivo, l’obbligo di trascrivere ogni mossa sul formulario, ma soprattutto
la regola più importante: se non hai carattere, potrai anche vincere qualche
partita ma questo gioco, così violento e distruttivo non farà mai per te.
Lasciarsi andare al primo errore preferendo commiserarsi per
l’occasione sprecata, proporre patta a giocatori più forti pur essendo in
posizione di forte vantaggio sono solo alcuni sintomi di una malattia che se non
viene curata in tempo porta il giocatore o pseudo tale alla distruzione del
proprio ego perché in realtà è proprio quello che è in gioco.
Ogni partita è lo specchio della vita perché riflette senza
possibilità di appello il nostro modo di agire alle difficoltà ed ai vantaggi
che si presentano quotidianamente. Non è solo una questione di logica, di
calcolo, di conoscenza strategica e tattica, qui entrano in gioco i sentimenti
ed una componente psicologica molto forte.
Iniziò il suo primo torneo, carico di aspettative e di curiosità
nei confronti di un mondo che non aveva
mai vissuto così da vicino.
L’enorme stanzone con i tavoli ordinati come banchi al primo
giorno di scuola, le scacchiere con gli schieramenti al completo del bianco e
del nero intenti a scrutarsi in attesa dell’imminente battaglia, gli orologi
tutti sincronizzati sulle ore tre, l’autorità degli arbitri custodi del
silenzio e del rispetto delle regole, i segnaposti progressivi che avrebbero
distinto nel corso della competizione i primi della classe dagli asini, in una
sorta di selezione che solo la natura opera, offrivano agli occhi del giocatore
esordiente uno spettacolo coreografico particolarmente suggestivo che conservò
nella sua mente per molto tempo.
I giocatori arrivarono in sala gioco in modo caotico, dopo aver
versato la quota di iscrizione, tutti in attesa spasmodica di conoscere il nome
ed il volto del loro primo nemico da battere.
Finalmente la stampante a getto d’inchiostro produsse l’atteso
oracolo degli accoppiamenti. Prontamente un arbitro si premurò di affiggere in
bacheca i risultati del sorteggio.
Un’orda di barbari si precipitò verso di lui accalcandosi di
fronte al foglio fresco di stampa. La calca durò pochi minuti e si diradò man
mano che i giocatori, presa coscienza del loro destino, si andavano a sistemare
ai propri posti.
In tutto questo tempo, fingendosi giocatore navigato, rimase in
disparte a gustarsi questo insolito fuori programma poi, quando l’orda venne
meno, si diresse verso la bacheca per leggere l’accoppiamento: settima
scacchiera, avrebbe giocato col bianco contro Sebastiano Fiori.
Cercò il tavolo e trovò il suo avversario già intento a compilare
con cura maniacale le sezioni del formulario: il nome del torneo, il numero del
turno, la data, i nomi dei contendenti. Era
un giovane alto e muscoloso che se incontrato dopo il coprifuoco avrebbe
destato la preoccupazione di molta gente.
Appena si accorse di lui si sciolse in un sorriso tendendo la mano dalla
stretta energica “Ciao mi chiamo
Sebastiano”.
Rispose al saluto con un saluto cercando di non tradire
l’emozione e di non farsi frantumare, per quanto possibile, dalla mano energica
del contendente. Dopo essersi seduto si accinse a compilare quel formulario che
vedeva per la prima volta e attese. Non passò un minuto quando echeggiò forte e
decisa l’esclamazione del capo arbitro: “In moto l’orologio del bianco!”.
Il suo primo torneo stava per avere inizio.
Giocò la sua solita apertura di Donna, quella che all’oratorio
gli valse i migliori risultati, quasi incurante del controgioco che il nero
stava mettendo in atto. Man mano che la partita progrediva, si rendeva conto di
come il suo avversario, a discapito dell’aspetto, non fosse un fulmine di
guerra.
Mantenne i nervi saldi cercando di evitare qualsiasi errore
secondo il credo trapattoniano “primo non prenderle” finché giunse il momento
di cogliere l’attimo, di fare la “mossa killer”, quella che ti consente di
dominare la partita approfittando dell’errore del tuo avversario.
Alla diciassettesima mossa il nero lasciò imprudentemente
indifesa la casa g7 consentendo al bianco un formidabile e devastante attacco
di Donna che si sarebbe concluso qualche
mossa più tardi con una brillante vittoria.
Il giocatore nero resosi conto del fatale errore fu colto da
un’improvvisa vampata di calore che ridipinse il suo volto. Con la morte nel
cuore cercò una strenua difesa ma ad ogni mossa peggiorava ancor più un destino
ormai irrimediabilmente scritto. Fermò il timer dell’orologio e tese la mano
verso il suo avversario in segno di resa. Alzandosi piegò meticolosamente il
formulario ed abbandonò la sala gioco.
Per il bianco si trattava della prima vittoria in carriera e se
la voleva gustare in ogni suo particolare.
Rimase seduto ammirando lo spettacolo della scacchiera, le gambe
gli tremavano ancora dall’agitazione.
Come in un flashback ripercorse d’un fiato tutto il film del
match fino alla mossa killer, quando uno stato di agitazione improvvisa l’aveva
investito paralizzando la sua concentrazione: la paura di perdere una partita
già vinta aveva rischiato di essere più forte di tutto il resto.
Chiuse gli occhi e subito li riaprì tirando un sospiro di
sollievo, la partita l’aveva vinta davvero.
1.d4 Cf6 2. Af4 e6 3. e3 b6 4. Ad3 Ab7 5. Cf3 Ae7 6. h3
Cc6 7. 0-0 d6 8. Cbd2 Cb4 9. De2 Cxd3
10. Dxd3 d5 11. Ce5 Ce4 12. Cxe4 dxe4 13. Dc3 c5 14. Tfd1 Ad5 15. dxc5
axc5 16. b4 Ad6 17. Cc6 Dd7 18. Dxg7 Tf8 19. Ce5 Axe5 20.
Axe5 Db5 21. Ad6 Rd7 22. Axf8 e5 23. Dxe5 Rc6 24. Dd6+ Rb7 25. Txd5 1-0
Scritto da Rizzi Pietro
Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.