Io e l’Anthony, la coppia cabaret più rinomata del Ponte di
Pietra. Dobbiamo ancora decidere quando sarà il momento di rendere noto al
grande pubblico il nostro enorme talento. Forse non lo faremo mai perché il
gusto per lo sberleffo altrui che si scatena al primo appiglio che la vita ci
offre quotidianamente, si ferma proprio qui.
A noi basta il tributo del Pape - talentuoso ex calciatore mancato con la
passione per l’Inter, la gnocca, la birra, il vino, l’alcool, il fumo e tutti i
suoi derivati - che quando ci incrocia non risparmia mai il suo inconfessato
riconoscimento con la tipica fragorosa esclamazione “Grandissimo Rizzi!,
Grandissimo Fiocco!”.
Non siamo mai stati insensibili al gentil sesso, anzi, nel corso
delle nostre scorribande sono numerosissimi gli attestati di stima che abbiamo
rivolto alle quote rosa che hanno incrociato le nostre vite. Ma il “ciuula deee” idioma di influsso pavese,
l’abbiamo usato solo per incoronare il passaggio di ragazze al top, perché
anche noi, alunni di una scuola vecchio stampo
fatta di rigore e sudore, non possiamo permetterci di regalare voti
buoni a tutte. Spesso la giuria non ha raggiunto un verdetto unanime, forse
perché uno dei due componenti, senza far nomi, ha gusti un po’ più difficili, e
in questo caso l’altro componente autoproclamatosi presidente in virtù della
consolidata esperienza maturata sul campo è sempre pronto a far partire
l’insulto nei confronti del collega, reo di non saper cogliere quegli aspetti
positivi seppur ridotti al lumicino che rendono appetibili le signorine.
Ma il tutto si fermava qui, all’allegria per lo sberleffo in
quanto tale, in ossequio ad un patto mai scritto che prevedeva una sola regola:
mai sconfinare all’atto pratico. Finché un bel giorno si decise di passare ai
fatti, al sesso, quello vero. Quale scelta migliore nel valicare il confine, nella
terra capitale del Toblerone e della Ricola, da qualche anno divenuta famosa
per i locali di intrattenimento notturno rivolti ad adulti più o meno consapevoli
in cerca di un’avventura da raccontare ai posteri.
L’Anthony in qualità di
presidente incaricò il collega di giuria di condurre una approfondita ricerca
sul web per individuare il locale più idoneo a rispondere alle esigenze di
qualità (alta) e prezzo (basso) dei due avventurieri. La scelta cadde sul “Bar
Oceano” di Lugano, popolato - a detta
dell’official web site – da avvenenti signorine sudamericane sempre pronte a far festa ad un prezzo ragionevole.
Si decise di partire il sabato sera di un afoso mese di luglio
dopo un briefing pomeridiano presso il negozio del macellaio – tana interista
- dove alla presenza dei fratelli
piranha, affezionati clienti di fede bianconera, si misero a punto quasi tutti
i dettagli della gita fuoriporta.
Ricordo ancora la domanda del “Macello”, questo il suo nome in gergo, rivolta al mio socio: “Sapete dov’è il posto?
Vi presto il navigatore?” e ricordo ancor meglio la risposta del presidente di
giuria, proferita con l’orgoglio di chi considera la tecnologia inutile complicazione
per la vita di tutti noi: “Non mi serve! Quando arrivo a Lugano basterà mettere
la testa fuori dal finestrino per sentire il profumo della f***”.
Alle 20.30 in punto la BMW decappottabile partiva verso l’estero
portando dentro di sé le fantasticherie dei due avventurieri. Il viaggio durò
quel che doveva durare, circa un paio d’ore anche perché andando al risparmio
si decise una volta arrivati alla frontiera di Como, di percorrere la statale
svizzera che asseconda con curve e controcurve il verde paesaggio collinare del
Canton Ticino concedendo pochi margini di trattativa ad autisti dal piede
facile. E finalmente si arrivò a Lugano, città che specchia le sue montagne sul
lago, città elegante e piena di luci, città pulita nel solco della tradizione
svizzera, città completamente deserta al calar del sole.
L’autista nonché presidente di giuria fu colto da un misto di
euforia e di sconcerto. Eravamo arrivati ma non c’era anima viva tutto intorno.
Non gli restava che abbassare il finestrino e mettere alla prova il fiuto da
segugio che aveva giurato di avere, una qualità innata che avrebbe potuto
consentirgli una vita agiata se solo l’avesse utilizzata nella ricerca del
tartufo. Sarà stata colpa dell’aria rarefatta delle montagne ticinesi o forse dell’olfatto
italico, che in quanto tale vale solo sul nostro territorio, sta di fatto che
al primo bivio incontrato nella città
elvetica l’interrogativo è sorto spontaneo: “da che parte andiamo?”.
Il timore di chiedere informazioni su un locale a dir poco
equivoco iniziava a farsi largo nelle menti sempre più disorientate dei nostri
prodi quando comparve all’orizzonte un’enorme Mercedes bianca con una scritta tanto
luminosa quanto inequivocabile sul tetto: era un taxi. L’Anthony virò a sinistra
verso la nostra salvezza e la cabrio -
sollecitata d’improvviso - non si mostrò impreparata sciogliendo in un lampo le
briglia ai cavalli dichiarati sul libretto di circolazione. In pochi secondi ci
accostammo ed io mi ritrovai alla distanza di pochi centimetri da un uomo sulla
trentina, esile ed abbronzato, abbigliato da cameriere del cenone di capodanno che
tradiva le sue origini italiche del profondo sud mostrando una fila
interminabile di catenine e collane d’oro che ornavano la pelle nuda dove il
bianco candore della camicia non arrivava.
Il finestrino elettrico
della BMW - lato passeggero - si abbassò
in un lampo azionato diabolicamente dal mio compare. Guardai il taxi driver
senza trovare uno straccio di parola e fu allora che il presidente della giuria
arrivò in mio soccorso allungando il collo verso di noi per rompere il ghiaccio
con la nonchalance che solo un vero anfitrione è in grado di dimostrare:
“Scusa, per andare a Pazzallo?”. Pazzallo secondo i nostri astrusi ed
improvvisati calcoli geografici doveva essere il paese meta del nostro viaggio.
Il taxista rispondendo pragmaticamente al quesito non fece nulla per celare la
sua natura indagatrice tutta italiana insinuando una sottile considerazione. “Pazzallo?
E’ un paese isolato sulle colline di Lugano. Siete sicuri di dover andare lì?”
Un attimo di sconcerto, solo un attimo e l’Anthony cercò affannosamente di
riprendere il pallino del gioco. “Ehm, veramente non sono proprio sicuro che
sia Pazzallo il paese che stiamo cercando…” poche parole lasciate in sospeso, nella
speranza che il nostro interlocutore fosse in grado di decodificare questo s.o.s.
subliminale. La scimitarrata del taxista non tardò un secondo: “State mica
andando a puttane? Sono adulto e vaccinato, potete anche dirmelo”. L’Anthony, prontamente e senza imbarazzo “Sì,
stiamo cercando il Bar Oceano” . Il taxista abbandonò l’aplomb istituzionale
tipico del suo ruolo e recuperando le sue origini nordmesopotamiche si rivolse
ai due con tono strafottente: “Potevate dirmelo subito che stavate andando a
puttane. Comunque proseguite su questa strada seguendo le indicazioni per
Noranco”.
Noranco! La parola magica che fa aprire tutte le porte,
l’”Apriti Sesamo” del Canton Ticino era stato proferito ed i nostri prodi dopo
un grato saluto erano ripartiti veloci cercando di recuperare il tempo perso,
perché le lancette stavano scorrendo inesorabili (tempus fugit).
Al primo semaforo trovando le indicazioni che cercavano,
proseguirono dritto fino ad imboccare un’angusta statale costeggiata ai lati da
autosaloni e magazzini all’ingrosso
finché d’un tratto spuntò sulla sinistra, come una amanita muscaria nel bosco di Biancaneve, la freccia tanto attesa: “Noranco”.
La sportiva svoltò subito percorrendo a fatica una strada che
saliva ripidamente assecondando con curve a gomito le bianche case del paese. Il
vile asfalto aveva lasciato spazio all’acciottolato che sapeva di antico.
Questo borgo senz’anima viva e senza luci poteva veramente
accogliere il più famoso bordello del Canton Ticino? L’interrogativo cominciava
a profilarsi nelle menti sempre più annebbiate dei due amici finché la risposta
giunse da sé. Arrivati alla sommità del borgo la strada trasformò nuovamente le
sue sembianze diventando sterrata fino a terminare.
Da una recinzione posta sul lato sinistro era spuntato un
giovane asino che ci scrutava silenzioso con sguardo interrogativo. “Ci scusi per
la visita inaspettata e soprattutto per l’orario poco opportuno”, parole che
avrei dovuto pronunciare se solo mi fossi reso conto del terribile disagio che
gli stavamo arrecando. L’orologio digitale registrava inesorabile il passare
del tempo: i quattro zeri della mezzanotte apparvero sul led.
Il taxista ci aveva fregato, ma forse questo era l’ultimo dei
nostri problemi perché ciò che più contava
era trovare il bordello. Tornare senza
in tasca uno straccio di avventura da raccontare, da mostrare come il trofeo
del primo classificato nella gara di pesca al boccalone, ci sarebbe valsa una
squalifica a vita ed una notorietà in tutto il quartiere che avremmo volentieri
evitato (Quando il quartiere è piccolo la gente mormora).
Ingranata la retro l’Anthony ripercorse d’un fiato tutta la
strada di prima fino a ritrovarsi al cartello che segnalava l’ingresso del
paese.
Da qui in poi iniziò un peregrinare caotico nella consapevolezza
che nessuno ci avrebbe potuto aiutare. Ci immettemmo nell’angusta statale alla
ricerca spasmodica del fantomatico bordello senza alcun risultato, ritornammo
sui nostri passi percorrendo strade secondarie … nulla di nulla finché
l’Anthony non scorse in lontananza un grande parcheggio con molte automobili assiepate
vicino ad un edificio la cui insegna, luminosa ad intermittenza, ci dava le
spalle. Una vampata di entusiasmo ci rianimò. L’auto fu lanciata con decisione
verso la nuova meta, eravamo sicuri che il bersaglio fosse stato colpito. Man
mano che ci avvicinavamo al parcheggio, l’insegna che ci dava di spalle
diventava sempre più grande, luminosa e accattivante come doveva e poteva
essere per un luogo di intrattenimento notturno.
Arrivati alla meta comparve in tutta chiarezza di cosa si
trattava: “Bowling” era la scritta che capeggiava, ad indicare che in quel
posto non c’erano palle da raccontare ma solo birilli da abbattere.
Lo sconforto totale fu più forte di tutto il resto. Guidammo
ancora per un’ora buona senza meta, come drogati in astinenza. Alla fine
imboccammo la strada del ritorno imprecando contro la Svizzera, il cioccolato ed i bordelli nascosti.
Anche noi avevamo un’avventura da raccontare ai posteri.
Scritto da Rizzi Pietro
Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.
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