giovedì 27 dicembre 2012

Bar Oceano, questo sconosciuto


Io e l’Anthony, la coppia cabaret più rinomata del Ponte di Pietra. Dobbiamo ancora decidere quando sarà il momento di rendere noto al grande pubblico il nostro enorme talento. Forse non lo faremo mai perché il gusto per lo sberleffo altrui che si scatena al primo appiglio che la vita ci offre quotidianamente, si ferma proprio qui.
A noi basta il tributo del Pape  - talentuoso ex calciatore mancato con la passione per l’Inter, la gnocca, la birra, il vino, l’alcool, il fumo e tutti i suoi derivati - che quando ci incrocia non risparmia mai il suo inconfessato riconoscimento con la tipica fragorosa esclamazione “Grandissimo Rizzi!, Grandissimo Fiocco!”.
Non siamo mai stati insensibili al gentil sesso, anzi, nel corso delle nostre scorribande sono numerosissimi gli attestati di stima che abbiamo rivolto alle quote rosa che hanno incrociato le nostre vite. Ma il “ciuula deee” idioma di influsso pavese, l’abbiamo usato solo per incoronare il passaggio di ragazze al top, perché anche noi, alunni di una scuola vecchio stampo  fatta di rigore e sudore, non possiamo permetterci di regalare voti buoni a tutte. Spesso la giuria non ha raggiunto un verdetto unanime, forse perché uno dei due componenti, senza far nomi, ha gusti un po’ più difficili, e in questo caso l’altro componente autoproclamatosi presidente in virtù della consolidata esperienza maturata sul campo è sempre pronto a far partire l’insulto nei confronti del collega, reo di non saper cogliere quegli aspetti positivi seppur ridotti al lumicino che rendono appetibili le signorine.
Ma il tutto si fermava qui, all’allegria per lo sberleffo in quanto tale, in ossequio ad un patto mai scritto che prevedeva una sola regola: mai sconfinare all’atto pratico. Finché un bel giorno si decise di passare ai fatti, al sesso, quello vero. Quale scelta migliore nel valicare il confine, nella terra capitale del Toblerone e della Ricola, da qualche anno divenuta famosa per i locali di intrattenimento notturno rivolti ad adulti più o meno consapevoli in cerca di un’avventura da raccontare ai posteri.
 L’Anthony in qualità di presidente incaricò il collega di giuria di condurre una approfondita ricerca sul web per individuare il locale più idoneo a rispondere alle esigenze di qualità (alta) e prezzo (basso) dei due avventurieri. La scelta cadde sul “Bar Oceano” di Lugano, popolato  - a detta dell’official web site – da avvenenti signorine sudamericane  sempre pronte a far festa ad un prezzo ragionevole.
Si decise di partire il sabato sera di un afoso mese di luglio dopo un briefing pomeridiano presso il negozio del macellaio – tana interista -  dove alla presenza dei fratelli piranha, affezionati clienti di fede bianconera, si misero a punto quasi tutti i dettagli della gita fuoriporta.
Ricordo ancora la domanda del “Macello”, questo il suo nome in gergo,  rivolta al mio socio: “Sapete dov’è il posto? Vi presto il navigatore?” e ricordo ancor meglio la risposta del presidente di giuria, proferita con l’orgoglio di chi considera la tecnologia inutile complicazione per la vita di tutti noi: “Non mi serve! Quando arrivo a Lugano basterà mettere la testa fuori dal finestrino per sentire il profumo della f***”. 
Alle 20.30 in punto la BMW decappottabile partiva verso l’estero portando dentro di sé le fantasticherie dei due avventurieri. Il viaggio durò quel che doveva durare, circa un paio d’ore anche perché andando al risparmio si decise una volta arrivati alla frontiera di Como, di percorrere la statale svizzera che asseconda con curve e controcurve il verde paesaggio collinare del Canton Ticino concedendo pochi margini di trattativa ad autisti dal piede facile. E finalmente si arrivò a Lugano, città che specchia le sue montagne sul lago, città elegante e piena di luci, città pulita nel solco della tradizione svizzera, città completamente deserta al calar del sole.
L’autista nonché presidente di giuria fu colto da un misto di euforia e di sconcerto. Eravamo arrivati ma non c’era anima viva tutto intorno. Non gli restava che abbassare il finestrino e mettere alla prova il fiuto da segugio che aveva giurato di avere, una qualità innata che avrebbe potuto consentirgli una vita agiata se solo l’avesse utilizzata nella ricerca del tartufo. Sarà stata colpa dell’aria rarefatta delle montagne ticinesi o forse dell’olfatto italico, che in quanto tale vale solo sul nostro territorio, sta di fatto che al primo bivio incontrato nella  città elvetica l’interrogativo è sorto spontaneo: “da che parte andiamo?”.
Il timore di chiedere informazioni su un locale a dir poco equivoco iniziava a farsi largo nelle menti sempre più disorientate dei nostri prodi quando comparve all’orizzonte un’enorme Mercedes bianca con una scritta tanto luminosa quanto inequivocabile sul tetto: era un taxi. L’Anthony virò a sinistra verso la nostra salvezza e la cabrio  - sollecitata d’improvviso - non si mostrò impreparata sciogliendo in un lampo le briglia ai cavalli dichiarati sul libretto di circolazione. In pochi secondi ci accostammo ed io mi ritrovai alla distanza di pochi centimetri da un uomo sulla trentina, esile ed abbronzato, abbigliato da cameriere del cenone di capodanno che tradiva le sue origini italiche del profondo sud mostrando una fila interminabile di catenine e collane d’oro che ornavano la pelle nuda dove il bianco candore della camicia non arrivava.
 Il finestrino elettrico della BMW  - lato passeggero - si abbassò in un lampo azionato diabolicamente dal mio compare. Guardai il taxi driver senza trovare uno straccio di parola e fu allora che il presidente della giuria arrivò in mio soccorso allungando il collo verso di noi per rompere il ghiaccio con la nonchalance che solo un vero anfitrione è in grado di dimostrare: “Scusa, per andare a Pazzallo?”. Pazzallo secondo i nostri astrusi ed improvvisati calcoli geografici doveva essere il paese meta del nostro viaggio. Il taxista rispondendo pragmaticamente al quesito non fece nulla per celare la sua natura indagatrice tutta italiana insinuando una sottile considerazione. “Pazzallo? E’ un paese isolato sulle colline di Lugano. Siete sicuri di dover andare lì?” Un attimo di sconcerto, solo un attimo e l’Anthony cercò affannosamente di riprendere il pallino del gioco. “Ehm, veramente non sono proprio sicuro che sia Pazzallo il paese che stiamo cercando…” poche parole lasciate in sospeso, nella speranza che il nostro interlocutore fosse in grado di decodificare questo s.o.s. subliminale. La scimitarrata del taxista non tardò un secondo: “State mica andando a puttane? Sono adulto e vaccinato, potete anche dirmelo”.  L’Anthony, prontamente e senza imbarazzo “Sì, stiamo cercando il Bar Oceano” . Il taxista abbandonò l’aplomb istituzionale tipico del suo ruolo e recuperando le sue origini nordmesopotamiche si rivolse ai due con tono strafottente: “Potevate dirmelo subito che stavate andando a puttane. Comunque proseguite su questa strada seguendo le indicazioni per Noranco”.
Noranco! La parola magica che fa aprire tutte le porte, l’”Apriti Sesamo” del Canton Ticino era stato proferito ed i nostri prodi dopo un grato saluto erano ripartiti veloci cercando di recuperare il tempo perso, perché le lancette stavano scorrendo inesorabili (tempus fugit).
Al primo semaforo trovando le indicazioni che cercavano, proseguirono dritto fino ad imboccare un’angusta statale costeggiata ai lati da autosaloni e magazzini  all’ingrosso finché d’un tratto spuntò sulla sinistra, come una  amanita muscaria nel bosco di Biancaneve,  la freccia tanto attesa: “Noranco”.
La sportiva svoltò subito percorrendo a fatica una strada che saliva ripidamente assecondando con curve a gomito le bianche case del paese. Il vile asfalto aveva lasciato spazio all’acciottolato che sapeva di antico.
Questo borgo senz’anima viva e senza luci poteva veramente accogliere il più famoso bordello del Canton Ticino? L’interrogativo cominciava a profilarsi nelle menti sempre più annebbiate dei due amici finché la risposta giunse da sé. Arrivati alla sommità del borgo la strada trasformò nuovamente le sue sembianze diventando sterrata fino a terminare.
Da una recinzione posta sul lato sinistro era spuntato un giovane asino che ci scrutava silenzioso con sguardo interrogativo. “Ci scusi per la visita inaspettata e soprattutto per l’orario poco opportuno”, parole che avrei dovuto pronunciare se solo mi fossi reso conto del terribile disagio che gli stavamo arrecando. L’orologio digitale registrava inesorabile il passare del tempo: i quattro zeri della mezzanotte apparvero sul led.
Il taxista ci aveva fregato, ma forse questo era l’ultimo dei nostri problemi perché  ciò che più contava era trovare il bordello.  Tornare senza in tasca uno straccio di avventura da raccontare, da mostrare come il trofeo del primo classificato nella gara di pesca al boccalone, ci sarebbe valsa una squalifica a vita ed una notorietà in tutto il quartiere che avremmo volentieri evitato (Quando il quartiere è piccolo la gente mormora).
Ingranata la retro l’Anthony ripercorse d’un fiato tutta la strada di prima fino a ritrovarsi al cartello che segnalava l’ingresso del paese.
Da qui in poi iniziò un peregrinare caotico nella consapevolezza che nessuno ci avrebbe potuto aiutare. Ci immettemmo nell’angusta statale alla ricerca spasmodica del fantomatico bordello senza alcun risultato, ritornammo sui nostri passi percorrendo strade secondarie … nulla di nulla finché l’Anthony non scorse in lontananza un grande parcheggio con molte automobili assiepate vicino ad un edificio la cui insegna, luminosa ad intermittenza, ci dava le spalle. Una vampata di entusiasmo ci rianimò. L’auto fu lanciata con decisione verso la nuova meta, eravamo sicuri che il bersaglio fosse stato colpito. Man mano che ci avvicinavamo al parcheggio, l’insegna che ci dava di spalle diventava sempre più grande, luminosa e accattivante come doveva e poteva essere per un luogo di intrattenimento notturno.
Arrivati alla meta comparve in tutta chiarezza di cosa si trattava: “Bowling” era la scritta che capeggiava, ad indicare che in quel posto non c’erano palle da raccontare ma solo birilli da abbattere.
Lo sconforto totale fu più forte di tutto il resto. Guidammo ancora per un’ora buona senza meta, come drogati in astinenza. Alla fine imboccammo la strada del ritorno imprecando contro la Svizzera, il cioccolato ed i bordelli nascosti.
Anche noi avevamo un’avventura da raccontare ai posteri.
Scritto da Rizzi Pietro

Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.

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