giovedì 27 dicembre 2012

Il calciomercato


Il Mac nuovo è un grande stimolo per iniziare a scrivere, in fondo è sempre stata la mia passione e le più grandi soddisfazioni le devo proprio alle parole messe in fila l’una all’altra più che alla timida oratoria che come un freno a mano ha spesso irrimediabilmente compromesso rapporti e relazioni creando al tempo stesso un’inferiorità numerica che nel mondo del calcio come nella vita di tutti i giorni non paga mai, anzi spesso porta alla sconfitta.
D’altronde nelle relazioni interpersonali  quel che conta è avere la risposta pronta condita ad un pizzico di sfacciataggine,  un mix quasi inespugnabile che rinforza l’autostima ed induce a non abbassare mai lo sguardo né a modificare o abbassare il tono di voce di fronte a chiunque.
Per il fragile non esiste alternativa all’accettazione supina di un verdetto già scritto, da subire silenziosamente insieme ai capi di imputazione che gli vengono contestati con prosopopea.
Rimuginare a distanza di giorni, settimane, mesi ed anni il torto subito, può portare a conseguenze  violente e comunque sempre inaspettate poiché spesso tra i fragili si celano finti tali che aspettano solo l’occasione giusta per dimostrare di far parte solo per caso di un gregge sempre disposto a belare a comando.
Per esperienza personale tutti coloro che in un modo o nell’altro hanno provato a mettermi i classici bastoni tra le ruote hanno dovuto pagare dazio anche a distanza di anni… Nel corso del tempo ho cambiato solo il mio modus operandi diciamo che mi sono raffinato ma il fuoco del vendicatore mascherato non si è mai spento.  Ricordare tutte le mie imprese non è poi così difficile perché nonostante il tempo trascorso, i ricordi sono ancora nitidi e basta una parola, un’immagine, un volto per farli riaffiorare insieme ad un sorriso un po’ orgoglioso che dipinge le mie labbra.
Tra le mie malefatte resterà agli annali, per lo meno i miei, il famoso calciomercato organizzato ai danni di molti miei ex compagni di squadra. Era l’anno della maturità, un anno scolasticamente parlando da dimenticare che mi portò al passaggio del turno solo ai supplementari, per il rotto della cuffia grazie all’intercessione della mitica Sabina, insegnante di greco e membro interno di classe. Ora vuoi per l’influenza benefica della mia adorata insegnante vuoi per il colore pallido tendente al giallastro delle mie scarne guance, il risultato fu raggiunto con il massimo sforzo ed il minimo punteggio (l’allora tristemente famoso 36, una macchia indelebile da occultare ben bene nel curriculum vitae di ogni uomo).
Torniamo a noi, si parlava del calciomercato, una burla nata dalla mia voglia di diventare calciatore a diciotto anni suonati dopo trascorsi calcistici non proprio onorevoli, tra campi di oratorio spelacchiati che vedevo più spesso da una panchina improvvisata ai margini del campo. Calcare il campo, come si dice in gergo, era una rara eccezione, così gracile e così tanto bon nò come si dice dalle mie parti, da indurre gli improvvisati mister di allora ad operare sempre le stesse drastiche e dolorose scelte: “Pietro in panchina”. Dopo questi primi insoddisfacenti trascorsi oratoriali con la maglia numero 15 della mitica Pontese, all’età di dieci anni avevo già maturato la decisione dell’addio al calcio giocato tuttavia per organizzare la partita del commiato era necessario aver fatto panchina almeno in un’altra squadra, così a distanza di otto anni dalla prima traumatica esperienza decisi di ricominciare nella stessa città ma nella squadra di un altro quartiere, confidando nel fatto che le malelingue circolano ma fino ad un certo punto e dopo tanti anni nessuno si sarebbe ricordato delle mie passate imprese, dei miei autogol,  dello stare in campo a modo mio magari con una cuffia in testa se piove o fa freddo. Così la scelta cadde, non a caso, sul Sant’Alessandro, quartiere Vallone. In quel tempo  - passatemi il richiamo biblico - ci giocava il mio amico Stefano, un vero senatore dello spogliatoio che fece da intermediario. Il provino fu un vero disastro e dopo una settimana di intensa preparazione come mai l’avevo fatta in vita mia riuscivo a malapena a camminare. Di fronte a questa drammatica situazione lo staff tecnico dei biancoverdi ci pensò un bel po’ di mesi prima di decidersi a tesserarmi però alla fine la spuntai (caparbietà? Follia allo stato puro? Rosa ridotta allo stremo?) ricominciando da dove avevo finito…la panchina.
Le sparute apparizioni nell’under 18 non lasciarono alcun ricordo nei fans del quartiere, salvo il gran gol in semirovesciata all’ultima di campionato, nella trasferta di San Martino Siccomario, annullato giustamente per un tocco di mani malandrino nonostante il mio marcatore diretto ed ex compagno delle medie, il mitico zazzo bue, avesse cercato in tutti i modi di concedermi un’autostrada verso il gol, stanco dei pesanti insulti che il suo mister gli rivolgeva dall’inizio della partita.
La realtà è che anch’io ci mettevo del mio, refrattario a scendere in campo quando le condizioni del terreno di gioco erano al limite della praticabilità, la mia ovviamente. E anche quando il mister era costretto a schierarmi per scelte obbligate, come avvenne o avrebbe dovuto accadere nella trasferta di Locate Triulzi, bastò un piccolo episodio  nel prepartita per fagli cambiare repentinamente idea. Confesso di essere stato un po’ assonnato per problemi di fuso orario. Fino a notte fonda avevo assistito alla finale di coppa intercontinentale tra la Juventus e l’Argentinos Junior, conclusasi, se la memoria non mi inganna, a favore dei bianconeri dopo un match avvincente nei tempi supplementari. Era l’epoca di Platinì.  Comunque sia mi cambiai solo parzialmente (calzoncini, calzettoni, scarpe chiodate) dimenticando di indossare la maglia della mia squadra e preferendo mantenere, come in un sogno psichedelico, camicia e maglione. In fondo le condizioni meteo non erano delle più confortanti. Fui bloccato sulla soglia dello spogliatoio da una voce tra il preoccupato ed il rassicurante “Caso mai subentri nella ripresa”.
Ma torniamo alla burla del calciomercato. Qual’è stato  il fattore scatenante? La molla che trasforma un panchinaro nel vendicatore mascherato? Ripensandoci a distanza di anni è troppo semplice puntare il dito sui miei compagni di squadra, su uno “spogliatoio” che non è stato in grado di decifrare il talento nascosto del sottoscritto ma al contrario era pronto allo sberleffo al primo accenno di cappella in allenamento. Il piatto freddo della vendetta è stato servito a distanza di qualche mese. Sul finire di agosto il fiacco calciomercato giovanile è stato rianimato d’un botto, come spesso avviene ai piani alti del calcio quando una squadra annuncia a sorpresa l’ingaggio di un campione, grazie ad una mia idea malsana  - il mio marchio di fabbrica - balenata dopo aver appreso con grande rammarico di non rientrare nei futuri piani dello staff tecnico bianco verde. Si trattava di organizzare un provino “collettivo” presso lo stadio del Pavia invitando i miei ex compagni di disavventura.
Grazie alla complicità del Fabius inossidabile compagno di giochi e soprattutto di scherzi, furono contattati numerosi giovani calciatori dal precario talento offrendo loro un’opportunità più unica che rara, direi imperdibile: il provino nella squadra della loro città, il Pavia.  Grazie ai dettagliati suggerimenti che gli fornivo, il Fabius fu in grado, nell’arco di mezza giornata di ottenere il sì al provino da almeno una ventina di giovani promesse. L’appuntamento era fissato alle 17.00. Io e il Fabius ci appostammo da veri professionisti del crimine dietro il ponticello in ferro che una volta attraversato dà accesso al piazzale del “Pietro Fortunati”, lo stadio del Pavia. Eravamo invisibili, mimetizzati come Viet Cong dietro la lamiera e le erbacce cresciute selvagge in riva al fiume.
Arrivarono alla spicciolata, chi in motorino, chi in bicicletta, chi in macchina accompagnati da genitori, tutti con i borsoni dell’allenamento carichi di magliette, calzoncini, scarpe chiodate e speranze. Appena si riconobbero furono colti da una strana sensazione mista di incredulità ed invidia. Possibile che questo privilegio era stato esteso a tutti loro? Si abbracciarono cordialmente dissimulando i loro sentimenti, consapevoli che questa selezione li poneva tutti come potenziali nemici. Rimasero nel piazzale per più di un’ora nell’attesa spasmodica che qualcosa accadesse, poi si decisero ad entrare.
Le gradinate erano deserte e il silenzio di uno stadio senza tifoseria era rotto solo dal vociare di alcuni pensionati troppo intenti a giocare a scopa d’assi nei tavoli del bar sotto la tribuna per degnarli di uno sguardo. Il terreno di gioco che avrebbero voluto calcare era gelosamente custodito da un giardiniere intento a sorvegliare il movimento regolare del getto degli irrigatori automatici. La stagione agonistica era alle porte per lo meno per i giocatori che il Pavia aveva deciso di convocare davvero.
Scritto da Rizzi Pietro

Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.

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